Qualche tempo fa, in occasione di un pranzo conviviale, sono stato stimolato a riflettere sul significato dell’incontrarsi, tra amici o parenti, attorno ad una tavola in occasioni o date importanti della vita, o solo per la voglia di stare assieme. Perché a tavola? Per alcuni non era un’opzione da discutere, trattandosi di un fatto naturale, per qualcun altro – una minoranza in realtà – si trattava di un’occasione ritenuta obbligata, quasi costretta, senza un vero senso se non quello della tradizione ripetitiva che causa inoltre, a chi organizza il pranzo o la cena, un inutile aggravio di lavoro con conseguente perdita di tempo da dedicare ad attività più utili.
Riflettere sull’importanza del cibo per gli italiani credo sia davvero una perdita di tempo, tanto esso è connaturato in modo speciale alla nostra cultura: ne sono testimonianza la ricchezza delle scelte, la diversità delle preparazioni, l’attenzione alle mille sfaccettature di forma, sapore, profumo.
Confesso però che anch’io davo per scontato il “trovarsi assieme attorno ad una tavola” e quindi ho voluto approfondirne il significato.
Il cibo rappresenta la vita, anzi è vita: è essenziale per il nutrimento e per questo è sempre stato al centro della storia dell’umanità. Due sono i motori base della vita: il nutrimento e la riproduzione.
Due esempi, fra tutti, su quale è stata l’importanza data al cibo – e soprattutto a condividere il cibo – nella storia dell’umanità.
Uno dei massimi scritti filosofici di tutti i tempi, al centro della cultura occidentale, è il Simposio di Platone che, dal greco antico, andrebbe correttamente tradotto come il “Convivio di Platone”. Una delle grandi discussioni filosofiche che hanno segnato la nostra cultura si è svolta in forma di banchetto!
Che dire poi dell’importanza data al cibo dalle grandi religioni monoteiste che nei suoi confronti sono giunte a indicare prescrizioni (forse quella cristiana con minore enfasi). Anche questo fa riflettere.
Nell’approfondire questo tema, mi sono imbattuto in una illuminante riflessione di Enzo Bianchi su “Cibo e sapienza del vivere” che ha messo termine alla mia ricerca e che vi invito a leggere compiutamente e da cui, per concludere, riporto tre brevi estratti.
“Il cibo è un bisogno fondamentale dell’organismo, dal quale l’uomo non riesce a distogliersi, ma è anche molto più del nutrimento. Assumere il cibo, infatti, da atto di nutrimento diventa il gesto sociale per eccellenza, il segno della comunità nel suo ritrovarsi, fare memoria, fare festa; la tavola diventa il luogo di comunicazione, scambio, comunione.”
Ancora.
“Non è un caso che l’azione del nutrirsi abbia sovente acquisito un valore simbolico tale da rivestire addirittura un carattere sacro. I pasti sacri dell’antichità ce lo testimoniano, come pure i sacrifici nei templi: non si dimentichi che questi ultimi erano dei pasti nei quali il cibo era offerto alla divinità, che però non consumava la vittima, sicché le sue carni erano poi condivise tra offerenti e sacrificatori. Il mangiare quindi è un’azione al contempo naturale e culturale: naturale perché la natura offre gli elementi, culturale perché gli alimenti sono scelti, preparati, cucinati. Finita l’età in cui l’uomo si nutriva dei frutti come li trovava in natura, nel cibo è sempre presente la cultura e, attraverso di essa, aderiscono al cibo connotazioni simboliche. Sì, la fame dice molto più che la fame, la sete dice molto più che la sete.”
In conclusione.
“Un tempo, per gente che pativa la fame la tavola era un sogno; oggi, che si può mangiare con abbondanza, dentro di noi non vi è spazio per un’immagine più evocativa del banchetto, per esprimere una vita bella, buona, felice, una vita piena. La tavola è l’anticamera dell’amore, un luogo e un momento che non assomiglia a nessun altro, una realtà affettiva e simbolica antica come l’umanità, una possibilità di una comunicazione privilegiata e di una trasfigurazione del quotidiano.
Certo, ci vuole sapienza per vivere la tavola, ma la tavola e il cibo hanno la capacità magisteriale di insegnarcela.”